La Venuta

El fogarò de la Venuta
foto tratta dal web Nelle Marche si chiama La Venuta, in Umbria Il Passaggio, alcuni in Toscana lo definiscono Il Tragitto, insomma quello che la tradizione religiosa popolare considera il trasferimento prodigioso della Santa Casa da Nazareth a Loreto ad opera degli Angeli e nella notte tra il 9 e il 10 dicembre si usa accendere dei grandi fuochi per illuminare il passaggio degli Angeli traslatori. E' una tradizione molto sentita nell' Italia Centrale dove molti comuni accendono falò e visto che noi siamo "dirimpettai" data la vicinanza con la confinante Loreto, leggiamo in questo racconto del Marchetti come si viveva un tempo questo evento e come uno dei fuochi, sembra il più importante, fosse posto nel piazzale della Torre da dove si ha l'impressione di toccare la Santa Casa tanto è vicina:
 foto indicativa tratta dal sito del comune di Castelfidardo

La tradizionale cerimonia de "La venuta" è fortemente legata alla tradizio ne e alla leggenda. Si narra che la notte della traslazione della Santa Casa a Loreto si accendano dei fuochi, soprattutto nelle campagne, per illuminare il percorso della traslazione. Noi ragazzi, nel periodo della mia adolescenza, ricevuto il testimone da altri ragazzi ormai divenuti troppo grandi per questa cerimonia, aspettavamo con ansia questa ricorrenza. Almeno un mese prima della cerimonia si iniziava la raccolta di tutto il materiale legnoso e, naturalmente, bisognava innanzi tutto stabilire il punto del piazzale della Torre dove "ammucchiare" il materiale raccolto. Il punto dove sarebbe stato fatto il falò veniva stabilito da "Rgena", perché era la più esposta al rischio, avendo nelle vicinanze l’abitazione con annessa "butega" (vendita di generi alimentari, attualmente ristorante Alvaro) e le galline alloggiate dentro la torre ( a quel tempo la torre era un locale di forma quadrata che crollò lasciando soltanto l’arco come lo vediamo ora). Vorrei tralasciare per un momento il racconto de "La venuta " per descrivere “Rgena " e le sue attività, che meritano un capitolo a parte.

Argenide Fanelli, per noi tutti, "Rgena, la bafona", bafona, perché veramente aveva dei baffi molto pronunciati da fare invidia all’uomo più baffuto, e la barba, fittissima, che radeva ogni mattina. Viveva sola perchè il marito e successivamente l’unico figlio emigrarono in Argentina. Nei momenti di necessità correva in suo aiuto Santa, sua cognata. La "butega" era una piccolissima stanza al piano terra, i prodotti in vendita erano pochissimi ed esposti intorno alle pareti della stanza, alcuni posti sopra cassette, altri sopra delle seggiole, vi era il sacco di riso, di farina e di zucchero "a zuppi". Una modesta cassettiera conteneva alcuni tipi di pasta sfusa, i cui formati si potevano vedere attraverso il vetro dei vari cassetti e veniva venduta sfusa. Le varietà erano: spaghetti, strenghette, boccolotti, fedelini, quadrelli, e boccoletti, sopra il banco c’era un barattolo da 5 Kg di tonno, uno di conserva, uno di "sardelle", uno di "renghe", naturalmente aperti e il prodotto venduto sfuso, c’era anche un "boccione" di olio con alcuni misurini vicino, il quantitativo più richiesto era 1/4 o 1/5 di litro. Il formaggio "grattato", si comprava solo la domenica, la richiesta era sempre di quattro soldi (20 centesimi di lira), veniva "grattato" all’istante, la "grattacagiu" era sempre sopra il banco. Nell’altra stanzina,sempre a piano terra, vi era la cucina adibita anche a cantina con vendita di vino e, all’occasione, la possibilità di fare una partita a carte di "briscola", "tresette"o "trucco". Era frequente vedere "Rgena" che cucinava "l’erba di campo" e Gelserico, Iaiu, Driano, Fioru de Bardasci e altri che facessero una partita a carte con a fianco di ognuno, sul tavolo, il bicchiere di vino. In un altro tavolo c’era la damigiana del "" con attaccato "el sciò" per soddisfare, immediatamente, le richieste di vino. Fatta questa doverosa precisazione riprendo il filo del racconto: stabilito il luogo dove collocare il materiale di raccolta, torniamo a "La Venuta".

Intanto c’è da dire subito che noi ragazzi di Numana eravamo divisi in due gruppi, quelli di Numana alta e quelli di Numana bassa ed eravamo in eterna competizione tra noi. Io, naturalmente, appartenevo al gruppo di Numana alta che comprendeva parte della Costarella e tutta la parte alta di Numana, quindi il nostro punto di deposito della raccolta era il piazzale della Torre.
I luoghi della ricerca erano soprattutto in campagna e consisteva nella raccolta di tutto ciò che era di legno e potesse bruciare, come rovi secchi delle "fratte". Anche i contadini collaboravano dandoci qualche cosa da bruciare; alcune volte eludendo la loro presenza, "rubavamo" qualche fascina dalla loro "catassa" di legna provocando, naturalmente, la violenta reazione che finiva sempre con il toglierci quello che avevamo preso e qualche "scoppola". Comunque, la raccolta andava benissimo, ma era abbastanza faticoso e per alleggerire il lavoro strisciavamo per terra il materiale raccolto con questa tecnica. Mettevamo in terra un ramo abbastanza grosso, legavamo con una corda robusta la parte più grossa e consistente del ramo, poi tutto quello che si raccoglieva veniva messo sopra questo ramo che tirandolo con la corda, trasportava tutto il raccolto facendolo strisciare per terra. Quando il carico si faceva pesante si aumentava il numero dei ragazzi per tirare la corda. Durante la raccolta e, soprattutto, verso la fine della raccolta avevamo sempre timore che qualche male intenzionato o qualche ragazzo di Numana bassa venisse ad incendiarci il "mucchio" prima della fatidica data, quindi dovevamo stare sempre attenti di giorno e di notte, ci affidavamo alle persone che abitavano nei paraggi de la Torre. Per la notte de "La Venuta" il nostro mucchio, rispetto a quello dei ragazzi di Numana bassa, era sempre più grande con soddisfazione di noi tutti. Beh, non so se questo corrisponde al vero o erano i miei occhi che mi facevano vedere più basso il mucchio dei rivali. La sera de "La Venuta", dopo cena, si dava fuoco al "mucchio". La nostra gioia era indescrivibile, il nostro sforzo e l’impegno erano appagati dalla presenza numerosa dei Numanesi. Finito il fuoco rimaneva una grande quantità di "bragia", gli anziani dicevano che era un peccato mandarla a male, era dicembre e già il freddo si faceva sentire. A questo punto entravano in campo le persone che abitavano nelle vicinanze e con "palette e scaldaletti" si accaparravano la "bragia" necessaria per scaldare il letto. Le più sollecite erano Rgena, Gelserico, la Zambona, Nita de la Limbra, Rosa, Mariu de Zelinda, ed altri. Anche questa è una storia semplice della tradizione e della cultura Numanese rimasta impressa nella mia memoria,

 
tratto da
C'ERA UNA VOLTA UN' ALTRA NUMANA
Essere ragazzi negli anni '30
di Pietro Marchetti Balducci

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